Fiera dell'autentico

Niente, ormai, sfugge al feticismo dell'autenticità. Essere cool significa mangiare biologico e local, usare cosmetici faidate, frequentare ristorantini rétro e trascorrere rilassanti fine settimana in borghi storici, ovviamente esclusivi ed estranei ai circuiti turistici. Ovunque cerchiamo verità, trasparenza, naturalezza, sincerità. Si tratta di una formula magica che libera da ansie e inquietudini. In balia di un'epoca in cui dilagano sfiducia e sospetto, abbiamo eletto l'autenticità a rassicurante «oggetto di culto», a «divinità» quotidiana che governa gusti e tendenze. Studioso del nuovo mondo «ipermoderno», il filosofo e sociologo francese Gilles Lipovetsky descrive la metamorfosi di questo ideale - dal XVIII secolo, quando era prerogativa delle minoranze colte, fino alla pervasività attuale - e dimostra che la consacrazione dell'autenticità è diventata la consacrazione dell'identità. Ha rimodellato da cima a fondo il modo di essere se stessi e di vivere la società, ha dato vita a una fase «iperbolica» nella civiltà degli individui, dominata dalla crescita esponenziale delle esigenze identitarie e sempre più lontana dal modello delle origini.